domenica 1 febbraio 2009

Piove! Quanto odio la pioggia!

Non può piovere per sempre, ma adesso piove, piove eccome.
Un inverno che sembra non voler finire, come certi inverni da bambina.
L'odore della polenta sul fuoco e i vetri appannati su cui disegnare quando tornavo da scuola, le mani e le guance gelate e la cartella lanciata sulla poltrona.
L'odore di alcool, che faceva le punture nel quartiere, la nonna, e usciva la mattina presto con l'impermeabile e il fazzoletto in testa.
L'odore della colla e del cuoio, quando portava a riparare le scarpe dal calzolaio, come geppetto seduto su uno sgabello di legno, in un locale a piano terra, anzi sotto, che si doveva scendere un gradino sbrecciato e quelli alti si abbassavano per entrare, ma noi due no, e la stufa accesa e i trucioli di legno sul pavimento.
L'odore della cioccolata per la torta di compleanno, burro e cioccolato che fondono cremosi e scuri e un goccio di liquore, che anche ai bambini si può dare e lasciala dire tua madre che per un po' di liquore non è mai morto nessuno.
L'odore di tabacco, di liquirizia e di chiuso, quando andava a riordinare la camera dello zio.
L'odore acre del bucato nella pentola, la liscivia che bolle e toglie il fiato e non ti sembra possibile che lavassero i panni così e tu lo ricordi ancora.
Cantava, mentre cuciva, con le mani ruvide che sembravano fatte apposta per aggrapparsi alla vita nei momenti difficili, le avessi io mani così, cantava vecchie romanze e mi insegnava a ballare il valzer nell'ingresso di casa.
Da bambina, la nonna abitava in campagna e a volte per gioco, quando calava la sera e il sole tramontando illuminava il cielo in direzione della città, diceva alla sorella più piccola vedi laggiù, laggiù in fondo, quella è l'America, qui è ancora buio, là è l'alba, e la bimba sgranando gli occhi e ripeteva l'America!?, chissà se ci credeva davvero. Quante volte ha raccontato questa storia e quanto mi piaceva sentirla raccontare, come quelle della guerra del resto, dei bombardamenti, di quando aveva dovuto cambiare nome, perché si chiamava come una rivoluzionaria russa, e sotto il fascismo, per quante file facesse, non le davano le medicine per il figlio malato; allora aveva cambiato nome, a lei non importava, e sulla carta di identità era scritto Marta, ma mica si girava se la chiamavi così.
L'odore delle caldarroste, che ne comprava sempre un etto alla baracchina quando tornava dal centro, dopo essere andata alla mutua a piedi per fare l'aerosol, che avrebbe fatto meglio a stare a casa al caldo, col freddo che faceva certi giorni.
L'odore di pesce fritto, che al venerdì non si mangia carne.
L'odore del calicantus quando aveva fissato, con una molletta da bucato, una carta da gioco di un vecchio mazzo scompagnato alla ruota della bicicletta, giù in cortile, perché pedalando mi sembrasse con un po' di fantasia un motorino.
L'odore di croccante e di zucchero filato, in Piazza Grande, e di candele e di incenso, quando mi portava a vedere la tomba di San Geminiano nella cripta del Duomo il giorno della fiera.
E la naftalina negli armadi che impregnava la camera e toglieva il respiro, quando mi abbracciava nel maglione di lana i pomeriggi d'inverno.
Ed è in momenti come questi che un profumo mi riempie gli occhi di lacrime e mentre provo una delle sue ricette mi volto come se dovessi vederla ancora lì e, con quel profumo che mi riempie la testa, potrei persino sentirla dire coraggio cocca, che de d-là dal psér 'an gh' va nisun, perché parlava un po' italiano e un po' dialetto la nonna, e io da piccola ero bilingue.
Un odore più di un'immagine, che dopo tanti anni non la ricordo bene, il viso è sempre più sfumato, ma i profumi sì, li ricordo, cannella, zenzero, cioccolato, vaniglia, mele e zucchero caramellato, per andare avanti quando sei giù di corda, triste, quando niente ti riesce e tutto si sgretola, e non trovi il senso e non hai più un tuo spazio.
Quando piove, come sta piovendo in questi ultimi giorni, perché se è vero che non può piovere per sempre adesso piove, piove eccome.
(...a mia nonna Riger)

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